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BELLE EPOQUE A BELLUNO. Dagli album fotografici di Antonio Sammartini.

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BELLE EPOQUE A BELLUNO. Dagli album fotografici di Antonio Sammartini.

Un libro di: Orietta Ceiner e Renzo Bogo.

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Scopo della pubblicazione e scelte degli Autori

Le istantanee della collezione Maurizio Sammartini rappresentano
indubbiamente una rarità, per non dire un unicum nella storia
della Città e forse anche per quella della fotografia tout court.
Proviamo a spiegarne il perché.
Quasi tutti noi conserviamo delle foto di famiglia, più o meno
vecchie, forse una o due dei nostri avi dei primi del ‘900, qualcuna
in più degli anni ‘950, ma è alquanto difficile che risalgano alla fine
del secolo XIX, in considerazione della storia della fotografia stessa.
Per di più solitamente ci restituiscono famigliari, affini, amici,
a volte qualche paesaggio di località di vacanza e villeggiatura,
quasi mai si riferiscono all’ambiente di vita, alla città ed ai
suoi abitanti. Quand’anche riportino avvenimenti di rilevanza
oggettiva e storica – nel qual caso quasi mai risalenti alla seconda
metà dell’Ottocento, epoca d’esordio dell’arte fotografica – è
quantomeno ostico riconoscervi i protagonisti per mancanza
di altre testimonianze iconografiche, che ne consentirebbero
il confronto.
La collezione Sammartini avvera tutti i nostri sogni restituendoci
la Belluno della Belle époque e soprattutto i bellunesi che
vi vivevano, senza distinzione di classe sociale, nella loro
quotidianità e durante alcuni eventi di rilievo, spesso con nomi
e cognomi, come in un racconto che abbiamo voluto dipanare
antologicamente.
Le fotografie – quasi tutte istantanee – rappresentano il vero in
modo naturale e senza enfasi, adattamenti o aggiustamenti.
Antonio Sammartini da fotografo dilettante, seppur appassionato,
di buona sostanza, culturalmente e socialmente di classe elevata,
in contatto e, sempre a suo agio con la società del suo tempo
estesa a tutti i livelli sociali. Con la sua apparecchiatura tecnica

immortalava i suoi concittadini e il suo ambiente, con l’occhio
artistico del suo tempo, sì da restituirci la cronaca quotidiana
della Città, permettendoci di conoscere nei dettagli la storia,
gli avvenimenti salienti, le varie attività economiche, le passioni
sportive, gli hobby e i passatempi del tempo libero, registrandoli
ad perpetuam memoriam veristicamente senza mai scadere
nel patetico o nel pittoresco. Ed ecco materializzarsi, come in
una sorta di macchina del tempo, i principali accadimenti di fine
Ottocento e primi Novecento con tutta una serie di vedute di
luoghi scomparsi e documentati solo sulla carta dei documenti
d’archivio e nelle pagine dei giornali dell’epoca.
Così entriamo nella storia della Città e ci è possibile partecipare
incredibilmente agli eventi straordinari ed a quelli correnti
attraverso i viventi del tempo. Le foto Sammartini sono infatti il
tableau vivant della Belluno assurta a capoluogo di Provincia ai
confini del nuovo Regno d’Italia, dominata dalla stessa élite di
sempre, al potere dal Medioevo, la cui ricchezza è fatta soprattutto
di terra e di allevamento, ma senza disdegnare le professioni
liberali, alla quale si affianca una nuova borghesia commerciante e
bottegaia, più foresta che autoctona, spesso imparentatasi con la
stessa élite.
L’arrivo della ferrovia; l’avvio dello sfruttamento idroelettrico;
il turismo con gli alberghi cittadini e della Vena d’Oro;
l’ampliamento e il rinnovo edilizio con il primo piano regolatore.
Una Belluno con la nuova ricchezza portata dalla ferrovia, dal
presidio militare con gli ufficiali e i militari, installatisi nella nuova
caserma e con le loro famiglie nelle case private, per difendere
la nuova frontiera-bastione con l’Impero Austro-Ungarico; con
le campagne dominate dalla mezzadria e con i senza terra

Una straordinaria collezione

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costretti ad emigrare in cerca di lavoro o temporaneamente o
definitivamente con tutta la famiglia anche oltreoceano nelle
Americhe soprattutto del Sud.
La posizione sociale di Sammartini lo metteva in contatto con
le persone che contavano e così rappresentare il loro vivere,
come allo stesso tempo la sua fede cattolica e le sue idee lo
portavano a tener conto e dar voce anche al mondo popolare e
realisticamente, nelle sue fotografie, si ritrova quel mondo, non
altrimenti documentato, cristallizzato nei suoi ricordi che così
divengono memoria storica per tutti.
Rivivono i notabili, le signore dell’alta e media società, avvocati,
notai, commercianti, imprenditori a passeggio sul Listòn, o nelle
vie e piazze di quella Belluno impegnata a trasformarsi in un
centro moderno, industrioso e sede centrale di servizi ed uffici per
tutto il territorio provinciale.
Ma Sammartini ha imprigionato nelle sue lastre anche i bellunesi
delle classi sociali inferiori, sia nel contesto urbano che nelle
campagne, artigiani e contadini, lavandaie e serve, tutti ben
individuabili anche per l’abbigliamento; nei momenti importanti
e in quelli della routine quotidiana propria degli abitanti che si
conoscono e si salutano, quasi sempre nei comportamenti usuali
e naturali, dando corpo ad un affresco vivido e completo della
società bellunese della Belle époque.
Vi sono le cerimonie pubbliche, le processioni, le fiere, i mercati,
le riviste e le esercitazioni militari, i processi giudiziari, le gare
sportive in velocipede e le partite a tennis, senza contare poi il
tempo libero e la caccia alla quale Sammartini dedicava molto
tempo, in compagnia di amici e fedeli amati cani, nelle campagne
della Val Belluna, in Val Zoldana o nella laguna di Venezia. I nove
album fotografici di oltre 2000 immagini furono composti con
buona probabilità da Sammartini stesso (Belluno, 1855 – Ivi, 1921),
discendente da antichissima stirpe bellunese, imparentata o in
amicizia stretta con le famiglie più rilevanti della Città.
Completati gli studi giudici presso l’Università di Padova nel 1878
Sammartini intraprese la carriera di avvocato presso il foro di
Belluno e si unì in matrimonio nel 1881 con Giulia Zanon, nipote
dell’illustre chimico e farmacista Bartolomeo Zanon, connubio
però sfortunato che ebbe termine nel 1890, con un chiacchierato
scandalo. Di fede cattolica in quegli anni di difficoltosi rapporti tra
Stato e Chiesa, aderì al comitato cattolico diocesano e dai profondi
sentimenti umanitari, partecipò attivamente all’amministrazione
della cosa pubblica sia come consigliere comunale che ricoprendo

diverse cariche nel campo della pubblica assistenza – Ospedale
civile, Congregazione di carità – e dell’istruzione, e della Direzione
provinciale del Tiro a segno nazionale, appassionato cacciatore
quale era.
Brillante pubblicista franco, obiettivo, sereno sui fatti che
lo interessano, sulle gravi questioni che si impongono allo
svolgimento della vita economico sociale senza scadere nel
pettegolezzo meschino, dalle colonne de “L’indipendente”,
giornale locale da lui fondato nel 1910, con l’amico fotografo Pietro
De Cian, “per dir bianco al bianco e nero al nero: questo lo scopo
che ci imponiamo, come l’adempimento di un dovere, come
l’emanazione di un sentimento vivo e disinteressato di patria
carità”, come si legge nell’editoriale di presentazione.
Circostanza del tutto eccezionale: a corredo di molti scatti vi sono
nomi e cognomi dei fotografati ed anche salaci commenti, per noi
oggi di difficile comprensione, perché decontestualizzati e persi
alla memoria, ma che rivelano una natura incline allo scherzo e
alla burla e che concorrono a ravvivare icasticamente il ricordo
consegnandolo alla storia.
Ecco forse proprio in questi termini va cercato il senso di tutte
queste fotografie scattate da Sammartini e conservate sino a
noi. Belluno e la sua popolazione tutta dal nobile al mendicante,
uomini e donne, bambine e bambini di rango e popolari, fermati
nelle istantanee quasi sospesi nel tempo nella loro essenza
naturale, senza fronzoli o pose da studio, nella loro reale vita
vissuta di fine Ottocento e primi Novecento, in una vera e propria
incredibile storia per immagini, comparabile solo con le minuziose
memorie composte dal notabile bellunese Antonio Maresio
Bazolle – gli “Annali di Belluno” (1851-1894) -, delle quali sono al pari
protagonisti la Città ed i suoi singoli abitanti, immortalati in forma
di prosa.
Orietta Ceiner

 

Nel panorama fotografico nazionale è raro trovare lo studio di
simili documentazioni di vita dell’800 raccolte da un foto amatore
con tanta spontaneità. Sono note le pubblicazioni sul conte
Primoli e Stefano Cugnoni grazie all’editore Einaudi molto attento
agli studi storici sulla fotografia. Ambedue fotografi agirono a
Roma e dintorni ed ebbero la fortuna di veder conservate fin da
subito in collezioni importanti le loro raccolte. È unico per la storia
della Belluno di fine ‘800 il materiale di Antonio Sammartini.
La raccolta è giunta a noi per merito del fratello Giovanni Battista
Sammartini, detto Giulio, perpetrato nel tempo dai figli e nipoti
di quest’ultimo fino a Maurizio Sammartini che lo ha messo a
disposizione dell’Archivio Storico del Comune.
Importante è evidenziare che la documentazione è
esclusivamente cartacea. Le foto sono state incollate con grande
perizia su pagine raccolte poi in album di vario formato.
La tecnica di stampa del tempo non ha consentito un’ideale
conservazione dell’immagine. Si passa da dettagli finemente
conservati a, purtroppo, foto quasi evaporate nel tempo: situazione
comune alla fotografia di centotrenta anni fa. Se pensiamo che
molte furono trattate in modo amatoriale possiamo considerarlo
tuttavia un vero successo.
Da segnalare il metodo di inserimento delle foto nelle pagine:
non è raro trovare una bella foto di grande formato a riempire una
pagina intera, per contro si incontrano pagine dove sono state
inserite setto otto stampe ritagliate in maniera scomposta con una
forbice, adattate in modo da riempire fino all’inverosimile lo spazio.
Dei nove album ben sette riportano a piè delle foto commenti
vari. A volte semplici nomi ma anche nomi con cognomi; di questi
ultimi ne sono stati evidenziati oltre trecento.

Sicuramente curiosi i commenti ad alcune foto di persone: poetici
per le signore della società nobile o borghese; spesso salaci per gli
uomini, forse amici personali; severi quelli di critica alle persone di
dubbia moralità.
Ricordiamo che era un avvocato stimato anche per la sua attività
pro bono in favore dei meno abbienti.
Sono chiari i commenti scritti di suo pugno, a volte datati perlopiù
tra il 1892 ed il 1897, più spesso senza data. Coesistono però in
modo evidente altre due calligrafie: forse appunti fatti da qualche
famigliare durante la sua malattia o dopo la sua morte.
Impossibile saperlo.
Ciò non è rilevante, per il nostro studio, sia per il numero
contenuto dei commenti di mano sconosciuta, sia perché
ugualmente contemporanei e volti a raccontare le foto con lo
stesso spirito di Sammartini.
È evidente che la sua raccolta comprendeva foto che ricevette da
altri fotografi professionisti: sono quasi sempre testimonianza di
luoghi, di accadimenti o di personaggi.
Da segnalare le pochissime fotografie fatte in uno studio
professionale: curioso che in tutte lui stesso sia il soggetto ritratto,
con prede di caccia o in abiti professionali di avvocato.
Confesso che inizialmente sono stato attratto dalla parte tecnica
piuttosto che dalla visione completa della raccolta. Però una
volta soddisfatti il primi interrogativi sul materiale rimaneva
qualcosa di indefinito, un legame o meglio una affinità. Non avevo
considerato le motivazioni di una simile raccolta. Non erano gli
album di un borghese, di un avvocato, di un possidente. Erano gli
album fotografici di un foto amatore. L’affinità era nella comune
passione.
Uno straordinario fotoamatore

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Da allora tutto è stato più facile da interpretare: le fotografie
raccolte in modo discontinuo, gli album di formato diverso, i
soggetti colti in maniera spontanea, le classi sociali rappresentate.
Tutto aveva un senso.
Era la sua vita con le contraddizioni che le foto esprimevano,
le passioni da coltivare, l’attaccamento alla Patria, le ricorrenze
religiose come quelle di tradizione popolare e goliardica.
Fotografato e raccolto per lui stesso ma anche per gli altri.
Da farlo vedere ad amici e conoscenti come un vasto
caleidoscopio di eventi e persone.
Nel panorama di fine ‘800 l’uso della macchina di piccolo formato
“istantanea” era ricercato molto dai foto amatori. I professionisti
erano ancorati alla fotografia celebrativa, quella che documentava
persone in studio, chiese e monumenti oppure cerimonie
commemorative.
I borghesi come il Sammartini trovavano invece l’istantanea un
genere di fotografia liberatoria. Completamente slegata alle
fotografie simil-artistiche dei soci iscritti alle numerose Società
Fotografiche nate spontaneamente, nella seconda metà dell’800,
in tutti i paesi europei e americani.
Fioriva già una notevole letteratura tecnica su come riprendere
i soggetti nella maniera migliore, o come ottenere in camera
oscura negative e stampe perfette.
Non mancavano i trattati riguardanti la scelta dei soggetti più
artistici con regole precise spesso derivate dalla pittura.
Nel decennio che ci riguarda a Belluno nacquero le prime
cartoline postali con riproduzioni di vere fotografie.
Merito del precursore Pompeo Breveglieri coadiuvato nella ripresa
dal fratello Abdon.
Ambedue fotografati in giro per Belluno dal nostro Sammartini,
come si potrà vedere più avanti nel racconto “Fotografia che
passione”.
Se Antonio Sammartini fosse stato un foto amatore “normale” si
sarebbe limitato a raccogliere le classiche foto-ricordo: famigliari,
qualche immagine dei parenti più lontani, amici ritratti in gite o
in riunioni gaudenti nella casa di campagna a Casarine, tra Mier e
Bès nei dintorni di Belluno. Non nel suo caso.
Antonio aveva un acume particolare nell’osservare i suoi
contemporanei e trovò nel mirino della macchina fotografica lo
strumento per isolare, sottolineare, insomma per mettere a fuoco i
suoi contemporanei.
Un fotoreporter ante-litteram.

In città, a metà del Campedèl, l’imbocco di via Cipro interrompe i
portici: quella era la sala di posa preferita di Antonio.
Lì sorprendeva i suoi concittadini mentre camminavano. Tutti lo
conoscevano e amabilmente o con ritrosia si lasciavano sedurre
dal suo obiettivo.
Dal loro incedere e dall’abbigliamento traeva ispirazione per i
commenti che corredavano le pagine degli album.
È bello pensare che i commenti sottostanti le foto non siano
stati altro che foto-giornalismo ante litteram in forma privata,
considerata la sua propensione a commentare la vita cittadina
sulle pagine del giornale locale dell’epoca: “L’Alpigiano”.
Presentare la raccolta delle 2634 fotografie una dopo l’altra in
forma di catalogo avrebbe avuto poco senso.
Aver studiato e identificato Antonio Sammartini come unico foto
amatore bellunese nella fine ‘800 ha suggerito di presentare
parte della sua raccolta con una continuità di immagini inserite
in vari capitoli o meglio racconti. Varie foto sono state accostate in
immaginarie sequenze che illustrano un viaggio, una ricorrenza o
una semplice giornata passata a fotografare i bellunesi di ogni ceto.
Vogliamo infine pensare che creare dei racconti con le sue
immagini sia un suo suggerimento da noi colto nelle fotografie
raccolte nel racconto “La villeggiatura è finita”.
È la partenza dall’Hotel des Alpes di Belluno di alcune signore
che salgono in carrozza e a cassetta, una brevissima sequenza
dal significativo dinamismo fotografico, presentata nel modo
originale.
Antonio Sammartini anche in questo un precursore: il foto-racconto.
Renzo Bogo

 

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